Riflessioni sull'uso dei chatbot

Pubblicato il 30-09-2021 | 4 min di lettura

I chatbot sembrano ormai ovunque. Molti siti li integrano con l'obiettivo di diminuire le richieste di assistenza e capire meglio i propri utenti. A volte però l'esperienza con questi strumenti non è molto piacevole.

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Cosa è un chatbot, davvero?

La maggior parte dei chatbot commerciali si basa su due principi: fornire dei percorsi conversazionali predefiniti e riconoscere delle parole chiave. Alcuni chatbot sono dotati di sistemi linguistici più avanzati - possono riconoscere l'umore dell'utente e accedere ad alcuni dati di profilazione. I chatbot più avanzati sono anche quelli più specializzati: sono cioè calibrati per rispondere dentro i confini di determinati contesti. Per questo motivo i chatbot più comuni usano tecniche più semplici e meccaniche.

Percorsi conversazionali

Una delle tecniche più comuni consiste nel creare percorsi conversazionali predefiniti. In questo modo la conversazione con il chatbot segue alcuni percorsi che sono stati preventivamente ricercati e scritti.

Il vantaggio di un percorso predefinito è che funziona molto bene per i casi di assistenza più comuni. Se conosciamo prima i problemi più comuni tra i nostri utenti, possiamo affrontarli con delle risposte pronte, accompagnando gli utenti verso la risoluzione del problema.

Questo approccio ha un grande limite: non consente deviazioni dal percorso predefinito. Questo significa che gli utenti che hanno problemi diversi da quelli che abbiamo previsto, oppure che non riescono a seguire il percorso per qualche motivo, non riusciranno a trovare le risposte che cercano. Inoltre, un sistema di questo tipo non ci permette di raccogliere informazioni su problemi nuovi.

Parole chiave

Lavorare per parole chiave ci permette di agganciarci ai concetti che l'utente ci sta comunicando e tentare di prevedere quale può essere il problema sottostante. Rispetto a un percorso predefinito, la parola chiave è più "atomica": l'utente può muoversi da un concetto all'altro, come farebbe in una conversazione naturale. Questo approccio permette più flessibilità e precisione sulle risposte. Per esempio, se un utente scrive una frase che contiene la parola "reso", è molto plausibile che stia cercando informazioni su come funzionano i resi del nostro e-commerce.

Quando siamo sganciati da un percorso conversazionale però, perdiamo una componente fondamentale: il contesto. Nella conversazione il contesto è importantissimo. Alcune parole riescono a rimanere abbastanza univoche - dopotutto siamo ancora all'interno di un contesto più grande, cioè il nostro sito internet. Altre parole rischiano di diventare molto ambigue. Per esempio, se sul sito di un ristorante un utente scrive una frase che contiene la parola "prenotazione", potrebbe voler compiere diverse azioni, tra cui fare una prenotazione, modificarla, oppure cancellarla. A questo punto è necessario trasformare le nostre parole chiave in espressioni chiave: invece di usare la parola "prenotazione", possiamo cercare di prevedere le varie combinazioni che si presentano in una frase, e quindi rispondere in modo diverso alle espressioni cancellare .* prenotazione, modificare .* prenotazione, (fare|creare|inserire) .* prenotazione, e così via.

Come vengono usati i chatbot

Uno dei motivi principali per cui i chatbot vengono implementati è diminuire le richieste di assistenza umana. Addirittura alcune aziende scelgono di non permettere agli utenti di interagire con un umano senza aver prima usato il chatbot. In questi casi il chatbot fa quasi da KB: diventa uno strumento di risoluzione dei problemi. Senza via di uscita.

chart showing effectiveness of windows 7 troubleshooting tool

Un classico grafico che illustra l'utilità degli strumenti di risoluzione problemi.

Se ci limitiamo a implementare un chatbot in questo modo, diventa davvero poco più di una ricerca glorificata. Anzi: da un punto di vista esperienziale, l'aspettativa di avere una conversazione probabilmente predispone l'utente a una grande delusione, mentre una barra di ricerca è piuttosto trasparente riguardo al suo uso e ai suoi limiti.

Da questo scenario possiamo trarre alcuni punti su come NON usare un chatbot:

  • usarlo per impedire all'utente di contattarci
  • usarlo per tentare di correggere una struttura delle informazioni poco chiara
  • usarlo (solo) perché è cool

Il chatbot e la nostra strategia di comunicazione

Il modo corretto di usare un chatbot è implementarlo come uno strumento all'interno di una strategia di comunicazione strutturata. Questa strategia ha a disposizione tutti gli strumenti tipici del web: la scrittura, la progettazione grafica e la struttura delle informazioni, fino ad arrivare alla progettazione del nostro servizio e dell'esperienza dell'utente.

Essendo uno strumento complesso, dovremmo arrivare ad usare un chatbot solo quando abbiamo creato valore usando strumenti più semplici. In poche parole, un chatbot non dovrebbe servire per "aggiustare" il fatto che sul nostro sito le informazioni non sono chiare, oppure per creare attrito tra l'utente e forme di assistenza più costose. Facendo così rischiamo di avere un impatto negativo sull'esperienza degli utenti.

Come altri strumenti, può risultare più utile ad alcuni utenti o su alcuni device. E come altri strumenti, si aggiunge al nostro stack di comunicazione, aumentando la complessità del nostro sito.

Una fonte importante di informazioni

Un aspetto spesso sottovalutato è la quantità di informazioni che gli utenti comunicano attraverso i chatbot. Rispetto ad altri strumenti di misura quantitativi, una conversazione è fatta di molti data point qualitativi: un utente può esprimere con precisione cosa non ha funzionato, oppure può far trasparire le proprie emozioni. Se decidiamo di implementare un chatbot, è importante lasciare agli utenti la possibilità di fare conversazione libera. Per poter valorizzare queste conversazioni però dobbiamo anche dedicare del tempo all'analisi di queste conversazioni.